Sono fiero del mio giubbotto blu scuro di jeans col colletto rialzato e dei miei quattro anni. Non so se sono tanti o pochi perché non so contare, però so farli con le dita, anche se fatico a nascondere il pollice dietro il palmo della mano.
Qualcosa mi spettina i capelli, mi entra dappertutto, si chiama vento mi dicono. Ma questo non è come tutti gli altri venti, si chiama libeccio, è quello più forte, mi dicono, più di tutti. E gli scogli di Marina, quelli li conosco, e gli scogli – dicevo – ora capisco perché sono lì, proprio lì. Le onde colpiscono la prima linea, ma non si fermano e riprendono forza e colpiscono dove siamo noi e gli spruzzi arrivano addosso a noi. Non ho mica paura sono con babbo e mamma, però sono felice che ci siano anche gli scogli con noi.
Le onde cambiano nome quando c’è il libeccio, mi dicono, si chiamano cavalloni perché scavalcano le barriere degli uomini e arrivano alle case come i cavalli che saltano un ostacolo.
Mi dicono di passarmi la lingua sulle labbra e io lo faccio e sento quel sale, e mi dicono che è il bacio che dà il libeccio e che lascia quel sapore.
Non ho mai più sentito un bacio così.
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