Il falco di via Spartaco Carlini

Il falco di via Spartaco CarliniNon s’era mai visto un falco in via Spartaco Carlini. Rondini, passerotti usignoli, quelli sì. Perfino i gabbiani con le loro urla da bambini piccoli che fanno effetto, ma un falco no, mai.
L’ho visto dalla finestra chiusa planare sugli scivoli dei giardinetti vuoti, sulle altalene ferme, sulle panchine umide.
Volava in cerchio e si fermava sui rami con le foglie appena nate, quelli più alti, per controllare meglio la situazione. Si doveva chiedere dove sono finiti tutti, come mai quella calma. Gli uomini dove sono?
Mi ha visto, i falchi vedono tutto, con l’occhio destro, attraverso il vetro sporco e la zanzariera col foro che la rende inutile. Mi fissa un bel po’, sa che non sono un pericolo, ma mi studia lo stesso. Senza quel vuoto di uomini mai si sarebbe azzardato a venire fin qui.
Passa una donna con la borsa della spesa e il cane, meglio due scuse che una, non si sa mai in questi giorni. Il falco ora fissa lei, con l’occhio sinistro. La donna non lo vede cammina veloce, la borsa batte sulla gamba il cane vorrebbe allargarsi verso qualcosa che ha un odore irresistibile a cui la donna è cieca.
Incontro alla donna va un ragazzo che fissa il cellulare e la vede solo quando il cane fa un flebile abbaio. Devia per starle distante quello che bisogna stare distanti. Gli sguardi non si incrociano. Gli sguardi non si incrociano in questi giorni, come se anche con essi potessimo trasmetterci il male.
Il falco no, incrocia lo sguardo ancora con me, come una domanda.
Lo saluto con la mano come fanno gli uomini e lui sembra aver capito.
Da allora torna tutti i giorni e lo farà, lo so, finché gli uomini torneranno e le altalene fioriranno di bambini. Poi non lo vedremo più.
E la sua assenza sarà il segno che tutto è andato bene.
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Chi me lo fa fare?

letture scuola primariaLetture scuola primaria

Scrivere e pubblicare non coincidono. Si può scrivere molto e pubblicare poco o addirittura non pubblicare. Allora ti chiedi chi te lo fa fare. Ma anche quando pubblichi a volte ti fai la stessa domanda. Chi me lo fa fare?

Mi ha scritto una maestra pugliese che ha fatto leggere ai suoi alunni ‘C’è un ufo in giardino!‘ (Battello a Vapore). A un certo punto c’è una scena in cui Mery, la ragazzina protagonista che soffre di una grave forma di allergia, deve mettersi una tuta per uscire ma si vergogna. Alllora i suoi amici Francesco e Antonio, per convincerla, si mettono loro una tuta come la sua e la fanno uscire con loro.

Un’alunna di questa maestra ha la leucemia e doveva venire a scuola con una mascherina. Col passare dei giorni un po’ alla volta tutti i suoi compagni di classe hanno cominciato a presentarsi a scuola con una mascherina come la sua.

Non c’è bisogno di fare bei discorsi sulla solidarietà e sull’amicizia, rimarrebbero lì e chi ascolta troverebbe più interessante ficcarsi un bell’indice in una narice in cerca di tesori nascosti.

Un gesto silenzioso e una mail dalla Puglia invece cambiano tutto: ecco chi me lo fa fare.

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Tanti tipi di silenzio

il silenzioC’è il silenzio del mattino e quello dopo la domanda “Chi vuol fare il segretario?” all’esame di Maturità. C’è il silenzio davanti alla tv e quando scegli il vino al supermercato e il silenzio quando guardi fuori dalla finestra e non c’è nessuno in strada. Il silenzio d’agosto con la luna piena e quando ti tappi le orecchie da bambino per non sentire i tuoni del temporale. E poi c’è il silenzio dopo il tuffo in mare, quando sei sott’acqua e quello del compito in classe. E il silenzio dopo un “Mi ami?” e calcoli il tempo della risposta. E ogni volta che un silenzio termina qualcosa cambia nella vita di ognuno.

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Tutto è possibile

Le maestre gli avevano detto che gli scrittori di favole abitano sulle nuvole, per questo sono molto distratti. Allora mi hanno chiesto qual era la nuvola su cui abitavo e io gliel’ho fatta vedere dalla finestra, una nuvola grande e grigia. Non erano stupiti, apparentemente, ma lo stupore è condizione normale dei bambini, quindi non si vede come negli adulti. Non ci sono occhi spalancati bocche aperte ‘ooooh’ come in noi. La realtà è stupenda lo stupore è normalità.

E perciò non puoi pensare che un cosino di quattro anni non si avvicinerà e non ti chiederà come se fosse la cosa più logica: ‘Mi porti con te sulla tua nuvola?’

In quel momento hai la certezza che tutto è possibile e che ce lo puoi portare veramente. Ma è solo un lampo, poi torni adulto e non è più così.

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L’umorismo in letteratura

umorismo in letteratura

Vorrei parlarvi seriamente(?) di umorismo in letteratura. A volte la letteratura umoristica viene considerata un genere minore, una specie di consolazione al trambusto della vita e ai suoi inciampi. Spesso, soprattutto in questi tempi non facili, quando si presenta un libro umoristico si sente commentare che ce n’è bisogno in questo momento, come se in altri momenti la letteratura umoristica non fosse necessaria.

Invece no. L’umorismo, e sua madre l’ironia, non sono suppellettili create da qualcuno per mostrarle in salotto come una ceramica antica, o un bell’accessorio per addolcire l’amarezza inevitabile della quotidianità. L’umorismo, e sua madre, sono un modo di guardare la realtà.

Perché la realtà si guarda con gli occhi, si ascolta con le orecchie, si tocca con le dita, ma si conosce col Cuore. Quando un bambino nasce, praticamente è cieco, sordo e muto. Eppure conosce la realtà, cioè che sua madre gli vuole bene.

I miei libri

Ci sono cose che corrispondono immediatamente al nostro Cuore, come il bene della madre appena si nasce, e l’umorismo è una di quelle. Non si tratta della risata per dimenticare il tran tran che quasi mai corrisponde ai nostri desideri, ma del riso o del sorriso che nasce quando ciò che leggiamo ci corrisponde, sembra fatto apposta per me che leggo. L’umorismo muove alla gioia quando mi riguarda direttamente e mi fa capire che tutto può essere positivo, specialmente la sventura. Se ci fate caso si ride di più quando ai protagonisti della storia accadono fatti disgraziati. Ma non si tratta di cinismo di chi legge. È che guardando la realtà con la lente dell’umorismo, anche gli eventi dolorosi appaiono per quello che sono: delle prove che giungono per far crescere chi le affronta, per fargli conoscere la realtà, quella vera, cioè che tutto è positivo. Altrimenti che sfiga ragazzi!

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Se vuoi scrivere devi essere Kayser Söze

Nei corsi di scrittura creativa (che peraltro non ho mai frequentato, ma questo non è certo un giudizio) alla prima lezione dovrebbe essere obbligatorio proiettare ai corsisti il film “I soliti sospetti“.

Nella scena finale Kevin Spacey si rivela per quel che è, ovvero Kayser Söze, ma per il poliziotto è troppo tardi, ormai se l’è fatto scappare.

Il poliziotto se ne accorge perché guardando nel suo ufficio ritrova tutti i nomi, i fatti e le circostanze che per tutto il film Kevin Spacey gli ha raccontato. Spacey aveva inventato tutta la storia complicata partendo da quello che aveva intorno in quel piccolo ufficio del poliziotto.

E tutto era credibile, tanto che il poliziotto aveva creduto a quel mondo inventato e l’aveva liberato convinto che fosse solo una comparsa in quella storia di delitti e che i protagonisti fossero altri. Invece il protagonista era proprio lui.

Chi scrive deve fare esattamente come Kayser Söze: prendere spunto dalla realtà che ha intorno, dai propri ricordi e creare una storia credibile.

Caro lettore, il poliziotto sei tu e se riusciamo a farti credere alla storia abbiamo fatto un buon lavoro. Ah, ovviamente il protagonista, anche se non lo crederesti mai, è sempre lo scrittore.

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Un pettirosso non fa differenza: il film

Ecco il cortometraggio basato sulla mia sceneggiatura ‘Un pettirosso non fa differenza’ e premiato da Tuttodigitale

Realizzato e diretto da Andrea Olindo Bizzarri, mi sembra ben riuscito. Ritengo che  Andrea abbia saputo trasformare sapientemente in immagini l’ironia e il significato di ciò che avevo scritto.

Grazie

 

 

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Le stelle splendono per te

Il  Corriere della Sera ha indetto un concorso per un racconto, chi vince verrà pubblicato col Corriere cartaceo nella collana ‘Corti di carta’.

Io ho scritto un racconto che si intitola come questo post. L’ho scritto pensando ai miei studenti e a una canzone dei Coldplay che amo molto, Yellow. Se volete leggerlo e votarlo sul sito del Corriere lo trovate a questo link.

La vittoria non dipende dai voti che riceverò perché chi decide sono solo i giornalisti del Corriere, però ci terrei a sapere se vi piace o no e che votiate secondo questo criterio e non ‘a simpatia’.

Fatemi sapere, grazie. La canzone è al link che vi incollo sotto.

http://www.youtube.com/watch?v=1MwjX4dG72s

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Il primo bacio del libeccio

la prima libecciataSono fiero del mio giubbotto blu scuro di jeans col colletto rialzato e dei miei quattro anni. Non so se sono tanti o pochi perché non so contare, però so farli con le dita, anche se fatico a nascondere il pollice dietro il palmo della mano.

Qualcosa mi spettina i capelli, mi entra dappertutto, si chiama vento mi dicono. Ma questo non è come tutti gli altri venti, si chiama libeccio, è quello più forte, mi dicono, più di tutti. E gli scogli di Marina, quelli li conosco, e gli scogli – dicevo – ora capisco perché sono lì, proprio lì. Le onde colpiscono la prima linea, ma non si fermano e riprendono forza e colpiscono dove siamo noi e gli spruzzi arrivano addosso a noi. Non ho mica paura sono con babbo e mamma, però sono felice che ci siano anche gli scogli con noi.

Le onde cambiano nome quando c’è il libeccio, mi dicono, si chiamano cavalloni perché scavalcano le barriere degli uomini e arrivano alle case come i cavalli che saltano un ostacolo.

Mi dicono di passarmi la lingua sulle labbra e io lo faccio e sento quel sale, e mi dicono che è il bacio che dà il libeccio e che lascia quel sapore.
Non ho mai più sentito un bacio così.

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Zorro e l’amore

Zorro insegue Cappuccetto rosso nel prato. E’ alto ottanta centimetri, meno della sua spada, e Cappuccetto rosso è più piccola di lui, bionda. Si vede perché il cappuccetto si è abbassato nella corsa. I Giganti, a distanza, li sorvegliano. Zorro cade sull’erba e si rialza subito, appoggiandosi alla lama di plastica della spada che si piega ma lo sostiene. Ha perso la maschera o forse l’ha tolta apposta perché la tiene in mano. Cade anche Cappuccetto rosso e si rialza in un battibaleno. Si fermano sotto una statua in piedi uno accanto all’altra, seri, perplessi. Lei doveva solo portare una torta e lui risolvere le ingiustizie del mondo. Ma proprio tutte. Zorro si rimette la maschera, lei si rimette il cappuccio. Poi i Giganti li raggiungono, li fotografano e li portano via da parti opposte. Loro li seguono ubbidienti, voltati indietro a guardarsi per l’ultima volta.

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Il mondo litiga

Questo è un mio racconto di Natale per bambini inedito. Scaricalo pure e buona lettura. Se vuoi sapere di più sui miei libri clicca il pulsante sotto, grazie!

I miei libri

racconto di Natale per bambini

Racconto di Natale per bambini

Il mondo litiga

B. pensò che non c’era niente di più adatto di quel treno per il suo riposo. Dopo tutti quei giorni di lavoro era in un bello scompartimento con un uomo, una donna dall’aria nervosa e un bambino con la faccia seria. Non era un granché per essere la vigilia di Natale, ma non gli importava. Tutto era riposante dopo tutti quei giorni di lavoro.
La madre, se era la madre, si rivolgeva al bambino con gesti veloci, come se volesse fare qualcosa per lui ma ci ripensasse sempre all’ultimo momento. L’uomo leggeva qualcosa sul cellulare tenendolo a una certa distanza come fa chi ha bisogno di un paio di occhiali da lettura. B. anche se stanco, fu incuriosito dal bambino. Aveva nelle mani l’ultima console elettronica – B. La conosceva bene – e non la guardava neanche. Qualunque bambino non avrebbe avuto altro pensiero che giocarci, ma quel bimbo fissava un punto sul sedile vuoto di fronte. La donna si accorse che B. guardava il bambino e gli si rivolse.
“È un po’ serio” disse con un mezzo sorriso, quasi a giustificarlo. B. annuì: che errore! La donna ora non avrebbe smesso di tormentarlo per tutto il viaggio. Infatti riprese.
“È molto… deluso”. B. annuì ancora.
“Gli abbiamo appena spiegato una cosa: vero Martino?”. Il bambino annuì in silenzio. Ma alla donna non bastò.
“Cosa hai saputo? Diglielo al signore”. Il bambino non aveva nessuna voglia di parlare, tantomeno con uno sconosciuto, però obbedì alla madre.
“Babbo natale non esiste”. La donna sembrò soddisfatta.
“Ormai era pronto per saperlo. Pronto” ripeté quella parola più per il bambino che per B.
B. si voltò verso il finestrino ma nel buio della campagna non si vedeva nulla, né in cielo né in terra, né lampioni né stelle. Per fortuna la donna non parlò più e si addormentò. L’uomo accanto a lei sembrava estraneo a tutti loro e anche al treno, come un’immagine trasmessa dallo schermo di una tv, apparteneva a un altro universo. Il bambino posò la console sul sedile e abbassò la testa. B. pensò che si fosse addormentato, invece vide una lacrima che cadeva dalla guancia. Si avvicinò al bambino facendo attenzione a non fargli capire che si era accorto che piangeva e si rivolse a lui:
“Ti dispiace per quella cosa che ti hanno detto?”. Il bambino scosse la testa.
“No. Piango perché il mondo litiga” e fece un gesto con la mano per indicare il mondo. “Avevo chiesto a Babbo Natale che il mondo smettesse di litigare e invece mi hanno dato quella” indicò la console.
B. tirò fuori da una tasca della giacca qualcosa e lo passò al bambino.
“Mettiglielo lì accanto” disse indicando la donna. Era un fiore bellissimo, una gerbera fucsia. La donna si svegliò e la prima cosa che vide fu il fiore. Sorrise – era il suo fiore preferito – lo annusò e si girò verso l’uomo. Lui distolse lo sguardo dal telefono e ritornò uomo di carne e non immagine soltanto. Lei lo baciò sulla guancia. Il bambino guardò B. ridendo.
“Tu sei…”
“Shhhhh, non dirglielo. Non sono ancora pronti per saperlo”.

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Per entrare nei cuori

Avevano disegnato la mia favola con le loro matite senza tralasciare nulla, come fanno i bambini.

I disegni erano attaccati su dei tabelloni troppo alti per loro.  Gli autori, per farmi vedere quali avevano fatto, saltavano e schiaffeggiavano il cartellone come i giocatori di pallavolo quando schiacciano. Gli piaceva il rumore del colpo sui fogli ‘CIAK!’ e come avevano reso belli quei fogli bianchi coi loro colori. C’ero anch’io col sombrero in testa perché il sole non mi facesse male visto che sono…

Juan Pablo è serissimo quando mi si avvicina: “Volevo complimentarmi con Lei, la Sua favola mi è molto piaciuta”. Da seduto sono molto più alto di lui.

“Perché Melerè è una bambina?”

Non me l’ero chiesto.

“Perché per entrare nei cuori degli uomini bisogna essere piccini”.

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Melerè al Circofarfalla

melerè al circofarfallaMelerè al circofarfalla

E’ uscito ieri il seguito di Melerè la musica bambina. Si intitola Melerè al circofarfalla e ne vado molto fiero perché le musiche di Marco Simoni sono bellissime, le illustrazioni di Alessandra Vitelli sono oniriche e realistiche insieme, che è la cosa più difficile, e il gioco di Creativamente (stavolta si tratta di carte con i personaggi della favola) è bello e divertente. Può essere un regalo di Natale bello ed educativo, potete trovarlo nelle librerie per ragazzi e nei negozi di giocattoli in oltre 500 punti vendita di tutta Italia. Clicca qui e avrai l’elenco città per città.

Cliccando invece qui potrai leggerne qualche pagina e comprarlo sul web.

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Scrittorone in ebook

Ospito un graditissimo intervento del derelitto Maestro Fab Van  Alt su come vanno le cose nel mondo dell’editoria oggigiorno.

Che dire, è incomprensibile.

E’ incomprensibile che l’Autore di romanzi come ‘La Deprimenza’ e  ‘Disgrazia e disappunto’ (vincitore del premio “Sfortuna e scrittura 2009”) non sia ancora su ebook in formato epub.

No cari amici, il mio editore mi pubblica su tavolette di cera che, tra l’altro, si sciolgono oltre i quaranta gradi tanto che nessuno può leggere i miei romanzi sdraiato sulla spiaggia perché gli colerebbero dalle mani. A volte penso che si vergogni di me per la mia vita sregolata e borderline (qualunque cosa significhi).

E invece vedo che il mio ospitante, Altieri, da oggi è su tutti i portali di ebook con i suoi libercoli in quel formato e chi ha un lettore di ebook può comprarseli alla metà del prezzo del libro di carta. Che vergogna, che ludibrio per la cultura mondiale!

Ringrazio l’immenso scrittore Van Alt per questo profondo intervento e vi dico solo che potrete acquistare i libri del vostro scrittore preferito in formato ebook a questo indirizzo.

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Uscendo dal serale

CLICCA IL VIDEO  E INIZIA A LEGGERE

Esco dalla scala antincendio verso il parcheggio, nero.

Nella palestra accanto un ragazzo e una ragazza ballano. Si sente un tango, solo loro e il maestro che osserva in silenzio.

Tutta la palestra è loro, tutto lo spazio, tutta la luce della palestra è loro e soltanto loro. Tutta la musica del mondo è in quel tango, ed è loro, tutti i movimenti di tutti i balli del mondo in quel tango. Appartengono solo a loro. Per questo il maestro tace: non è suo il ballo di quei due. I loro occhi si fissano, i piedi non occorre guardarli come fa un grande calciatore. Chi ha classe tiene lo sguardo alto e avanza senza curarsi dei propri passi.

E’ nero il parcheggio non vedo la serratura dell’Alfa. Quando la trovo entro ma non parto. Calo il finestrino e li guardo; li vedo anche da lì, attraverso dalla vetrata dell’uscita d’emergenza. La palestra è un’astronave di luce azzurra nel buio e loro devono solo stare attenti alla rete da pallavolo, a non finirci contro. Quando finisce la musica il maestro fa sì con la testa. Loro si fermano e si staccano anche se è chiaro che sono intrecciati come prima. Escono, salgono in moto e vanno via. Si spegne la luce, anche l’astronave sparisce.

Tiro su il finestrino. Ringrazio il cielo per tutto questo.

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Il piano

Il palco è enorme, enorme anche per una festa della birra, non me l’aspettavo così. I musicisti sono dieci bavaresi in pantaloni corti di pelle – che ti aspetti dai bavaresi? – ma solo uno è autorizzato a parlare italiano e lo parla come un bambino, un bambino tedesco. Presenta le canzoni, tutte straconosciute in Bavaria, un po’ meno da noi. il mare è a duecento metri in linea d’aria e fa strano sentire la risacca nelle pause della musica. Ogni tre canzoni il bavarese italianista ordina ‘Ein Prosit ein Prosit ein Prosit’ e alcuni alzano il boccale, più per paura di ritorsioni da parte dei tedeschi che per convinzione; sul palco hanno quei tubi che fanno tutto quel fumo… e se fossero armi? La coppia di fronte a me non la conosco, hanno un bambino. Il bambino prende confidenza, i bambini la confidenza ce l’hanno col mondo, e mi svela i suoi progetti per impadronirsi delle decine di metri di cavi d’acciaio che portano elettricità ai fari immensi che illuminano il piazzale. Il piano è ben studiato, potrebbe anche riuscire. Il motivo per cui lo farà me lo spiega: vuole utilizzarli per avere elettricità gratis a casa sua. È una buona ragione. Ha  un buon piano e una buona ragione. I bavaresi improvvisano un rock anni ’50 e per la prima volta sembrano davvero felici, il chitarrista soprattutto. Fa l’assolo come se la chitarra fosse un mitra e sparasse sul pubblico. Mi ricorda i soldatini della Matchbox che avevo da bambino. La Wehrmacht. Lo dico al bambino che fa cenno di aver capito, ma si vede che pensa a qualcos’altro. Il bavarese dice qualcosa e qualcuno si alza in piedi. Capisco che stanno per fare l’inno italiano e quello bavarese. L’inno italiano lo sbagliano, sembra una canzone di Toto Cotugno. Quello bavarese è bello, lo suonano come se stessero per morire tutti per la loro terra, gli italiani ascoltano in silenzio, nessuno lo conosce, ma nessuno fiata, neanche gli ubriachi. All’improvviso sparisce la luce. Nel buio totale il mormorio di stupore e fastidio della gente e poi una voce che grida: “I cavi, sono spariti i cavi!”.

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Il dado cromato

Il rubinetto perdeva da mesi, ma non mi importava, finché non ho visto la bolletta. Allora mi è importato.

L’idraulico è un uomo buono. Mi sorride, anzi sorride alla rondella mentre la fissa col dado cromato. Il dado non lo vedrà mai più nessuno là dentro lo scarico del lavabo, ma è cromato lo stesso. La rondella non terrà, o almeno non dovrebbe farlo. È rimediata come quel dado cromato che dovrebbe trattenerla.

“Ieri sera un mio amico festeggiava il compleanno. Mi ha invitato al doncarlos, la discoteca. C’erano donne, tante donne.” Stringe il dado con la tenaglia arancione, una volta, ora è grigia e ha esperienza.

“Me ne ha presentata una e mi ha detto questa se ti prende ti riduce male.”

Il dado avanza velocemente sulla filettatura. Non c’è resistenza. Lui non smette di sorriderle, penso sia per quello che il dado tiene.

“Ho parlato con quella donna, era simpatica mi ha detto che era divorziata e che le piaceva ballare quei balli sudamericani perché sono divertenti la fanno ridere e le sembra di volare.”

Il dado ora avanza più lento, lo sforzo aumenta la tenaglia va sicura come chi sa che vincerà di certo.

“Abbiamo fatto un ballo. Poi le ho detto che dovevo tornare a casa e lei ha fatto cenno di sì. Con il capo ha detto sì. Domani devo lavorare non sono abituato, se faccio tardi poi lavoro male. Lei ha fatto cenno di sì ha detto ochei e ci siamo salutati. Poi sono venuto via.”

Il dado si ferma, ha raggiunto la meta più di così non va, e neanche deve andare. Apre e chiude il rubinetto apre e chiude e aspetta. Apre e chiude un’ultima volta. Rimette la tenaglia grigia nella cassetta degli attrezzi e chiede se può sciacquarsi le mani. Ma certo.

Chiede venti euro per due ore di lavoro. Gliene do trenta, ma mi tocca insistere. E un bicchier d’acqua.

Il rubinetto non perde più, la rondella tiene. Il dado cromato fa il suo dovere, anche se nessuno lo vedrà mai. Sono certo che se non fosse stato cromato non avrebbe resistito nel buio del lavabo, avrebbe ceduto.

Ne sono certo.

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