Il falco di via Spartaco Carlini

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Il falco di via Spartaco CarliniNon s’era mai visto un falco in via Spartaco Carlini. Rondini, passerotti usignoli, quelli sì. Perfino i gabbiani con le loro urla da bambini piccoli che fanno effetto, ma un falco no, mai.
L’ho visto dalla finestra chiusa planare sugli scivoli dei giardinetti vuoti, sulle altalene ferme, sulle panchine umide.
Volava in cerchio e si fermava sui rami con le foglie appena nate, quelli più alti, per controllare meglio la situazione. Si doveva chiedere dove sono finiti tutti, come mai quella calma. Gli uomini dove sono?
Mi ha visto, i falchi vedono tutto, con l’occhio destro, attraverso il vetro sporco e la zanzariera col foro che la rende inutile. Mi fissa un bel po’, sa che non sono un pericolo, ma mi studia lo stesso. Senza quel vuoto di uomini mai si sarebbe azzardato a venire fin qui.
Passa una donna con la borsa della spesa e il cane, meglio due scuse che una, non si sa mai in questi giorni. Il falco ora fissa lei, con l’occhio sinistro. La donna non lo vede cammina veloce, la borsa batte sulla gamba il cane vorrebbe allargarsi verso qualcosa che ha un odore irresistibile a cui la donna è cieca.
Incontro alla donna va un ragazzo che fissa il cellulare e la vede solo quando il cane fa un flebile abbaio. Devia per starle distante quello che bisogna stare distanti. Gli sguardi non si incrociano. Gli sguardi non si incrociano in questi giorni, come se anche con essi potessimo trasmetterci il male.
Il falco no, incrocia lo sguardo ancora con me, come una domanda.
Lo saluto con la mano come fanno gli uomini e lui sembra aver capito.
Da allora torna tutti i giorni e lo farà, lo so, finché gli uomini torneranno e le altalene fioriranno di bambini. Poi non lo vedremo più.
E la sua assenza sarà il segno che tutto è andato bene.
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Chi me lo fa fare?

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letture scuola primariaLetture scuola primaria

Scrivere e pubblicare non coincidono. Si può scrivere molto e pubblicare poco o addirittura non pubblicare. Allora ti chiedi chi te lo fa fare. Ma anche quando pubblichi a volte ti fai la stessa domanda. Chi me lo fa fare?

Mi ha scritto una maestra pugliese che ha fatto leggere ai suoi alunni ‘C’è un ufo in giardino!‘ (Battello a Vapore). A un certo punto c’è una scena in cui Mery, la ragazzina protagonista che soffre di una grave forma di allergia, deve mettersi una tuta per uscire ma si vergogna. Alllora i suoi amici Francesco e Antonio, per convincerla, si mettono loro una tuta come la sua e la fanno uscire con loro.

Un’alunna di questa maestra ha la leucemia e doveva venire a scuola con una mascherina. Col passare dei giorni un po’ alla volta tutti i suoi compagni di classe hanno cominciato a presentarsi a scuola con una mascherina come la sua.

Non c’è bisogno di fare bei discorsi sulla solidarietà e sull’amicizia, rimarrebbero lì e chi ascolta troverebbe più interessante ficcarsi un bell’indice in una narice in cerca di tesori nascosti.

Un gesto silenzioso e una mail dalla Puglia invece cambiano tutto: ecco chi me lo fa fare.

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Tanti tipi di silenzio

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il silenzioC’è il silenzio del mattino e quello dopo la domanda “Chi vuol fare il segretario?” all’esame di Maturità. C’è il silenzio davanti alla tv e quando scegli il vino al supermercato e il silenzio quando guardi fuori dalla finestra e non c’è nessuno in strada. Il silenzio d’agosto con la luna piena e quando ti tappi le orecchie da bambino per non sentire i tuoni del temporale. E poi c’è il silenzio dopo il tuffo in mare, quando sei sott’acqua e quello del compito in classe. E il silenzio dopo un “Mi ami?” e calcoli il tempo della risposta. E ogni volta che un silenzio termina qualcosa cambia nella vita di ognuno.

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Leggerissimi

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Sle Piagge Pisaono appena scesi dalla macchina, due anziani, marito e moglie, vestiti un po’ troppo eleganti per stare tra gli alberi in riva all’Arno, ma forse mi sbaglio, anche gli alberi sono vestiti bene, è primavera. Lui le prende la borsa per permetterle di accomodarsi il giacchetto bianco, tiene la borsa come può tenerla un uomo, imbarazzato come se avesse tra le mani un animale pronto a scivolare via. Poi gliela porge e anche il braccio, aspettano che passi il runner sudato e si avviano per il viale, leggerissimi.

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La certezza di Hadfield

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hadfieldNel video che ho incollato sotto il comandante  Hadfield canta la canzone di Bowie esattamente dove Bowie l’aveva ambientata, nello spazio.

Bowie l’aveva già vissuta quell’esperienza, anche se non c’era mai stato nello spazio.

Con quanta verità ha cantato quella canzone il comandante Hadfield, in mezzo al nulla tra la terra e le stelle! La stessa con cui la cantava Bowie in uno studio di registrazione poco illuminato o a casa sua quando l’ha scritta.

Le stelle sembrano veramente differenti da qui, e Hadfield lo può dire con certezza perché lo constata mentre lo dice. Ciò che vede è ciò che vedeva Bowie quando chiudeva gli occhi immaginando cosa osservava il protagonista della canzone.

L’artista è quello che quando chiude gli occhi fa esperienza di ciò che noi vediamo quando li teniamo aperti.

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La grande tristezza

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la grande bellezzaQuesta non è una recensione del film ‘La grande bellezza’. La prima cosa che mi sono chiesto è il motivo per cui Gep Gambardella ha scritto un solo libro dal successo clamoroso e poi ha smesso una volta arrivato a Roma. Non è colpa dell’impigrimento dovuto al successo o alla bella vita, come finge di credere lui stesso. La risposta mi è arrivata nella scena del funerale, quando, dopo che Gep aveva detto alla Ferilli che ai funerali è immorale piangere perché “si toglie la scena” ai parenti e aveva spiegato come si recita ai funerali e aveva seguito alla lettera il suo copione, accade un imprevisto: il prete chiama gli amici del morto a trasportare in spalla la bara e nessuno si fa avanti. Dopo qualche esitazione Gep con altri tre prende in spalla la bara, ma cede e si mette a piangere. In quel momento Gambardella è nudo: dopo chissà quanto tempo è davvero se stesso, non recita. Quando si scrive si deve essere veri, non si può mentire e lui aveva smesso di essere vero appena arrivato a Roma, per questo non poteva più scrivere. La tristezza di Gambardella deriva dall’avere intorno tutta quella bellezza e non sapere perché e non potersene appropriare. Dalla coscienza che tutta quella bellezza rimarrà anche dopo che lui se ne sarà andato e non la potrà mai più rivedere. E’ convinto che con la sua morte il gioco finirà e allora tanto vale disperdersi e recitare e non vale la pena scrivere più. Per questo di fronte alla morte non riesce a trattenere le lacrime: non piange per la pietà verso il morto, piange per se stesso, per la sua disperazione. Viene fuori in quella scena la sua umanità vera. Perché di fronte all’arte e alla morte l’unico atteggiamento umano è un atteggiamento di verità. Altrimenti si recita disperati, malgrado la grande bellezza che ci circonda.

La grande bellezza.

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Tutto è possibile

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Le maestre gli avevano detto che gli scrittori di favole abitano sulle nuvole, per questo sono molto distratti. Allora mi hanno chiesto qual era la nuvola su cui abitavo e io gliel’ho fatta vedere dalla finestra, una nuvola grande e grigia. Non erano stupiti, apparentemente, ma lo stupore è condizione normale dei bambini, quindi non si vede come negli adulti. Non ci sono occhi spalancati bocche aperte ‘ooooh’ come in noi. La realtà è stupenda lo stupore è normalità.

E perciò non puoi pensare che un cosino di quattro anni non si avvicinerà e non ti chiederà come se fosse la cosa più logica: ‘Mi porti con te sulla tua nuvola?’

In quel momento hai la certezza che tutto è possibile e che ce lo puoi portare veramente. Ma è solo un lampo, poi torni adulto e non è più così.

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L’umorismo in letteratura

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umorismo in letteratura

Vorrei parlarvi seriamente(?) di umorismo in letteratura. A volte la letteratura umoristica viene considerata un genere minore, una specie di consolazione al trambusto della vita e ai suoi inciampi. Spesso, soprattutto in questi tempi non facili, quando si presenta un libro umoristico si sente commentare che ce n’è bisogno in questo momento, come se in altri momenti la letteratura umoristica non fosse necessaria.

Invece no. L’umorismo, e sua madre l’ironia, non sono suppellettili create da qualcuno per mostrarle in salotto come una ceramica antica, o un bell’accessorio per addolcire l’amarezza inevitabile della quotidianità. L’umorismo, e sua madre, sono un modo di guardare la realtà.

Perché la realtà si guarda con gli occhi, si ascolta con le orecchie, si tocca con le dita, ma si conosce col Cuore. Quando un bambino nasce, praticamente è cieco, sordo e muto. Eppure conosce la realtà, cioè che sua madre gli vuole bene.

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Ci sono cose che corrispondono immediatamente al nostro Cuore, come il bene della madre appena si nasce, e l’umorismo è una di quelle. Non si tratta della risata per dimenticare il tran tran che quasi mai corrisponde ai nostri desideri, ma del riso o del sorriso che nasce quando ciò che leggiamo ci corrisponde, sembra fatto apposta per me che leggo. L’umorismo muove alla gioia quando mi riguarda direttamente e mi fa capire che tutto può essere positivo, specialmente la sventura. Se ci fate caso si ride di più quando ai protagonisti della storia accadono fatti disgraziati. Ma non si tratta di cinismo di chi legge. È che guardando la realtà con la lente dell’umorismo, anche gli eventi dolorosi appaiono per quello che sono: delle prove che giungono per far crescere chi le affronta, per fargli conoscere la realtà, quella vera, cioè che tutto è positivo. Altrimenti che sfiga ragazzi!

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La malinconia

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Niente dà più malinconia di una classe vuota di sera. Come fanno le donne che puliscono a non piangere?

E infatti piangono.

Però in classe sono sole, mentre piangono e puliscono. Ognuna pulisce un’aula. Poi, quando hanno finito, prima di uscire, si asciugano le guance ed escono come se niente fosse. Così nessuna si accorge che l’altra ha pianto di malinconia.

Fino alla sera dopo, quando ci sarà di nuovo da pulire e piangere.

E poi dicono che la malinconia non è un lavoro usurante.

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Le stelle, le lucciole e le gocciole

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Di notte, ci sono tre tipi di stelle.

Le stelle propriamente dette, le lucciole e le gocciole d’acqua sulle foglie.

Le stelle propriamente dette per osservarle si guarda in alto e quando ci appaiono di notte, magari d’estate in montagna senza luci attorno, sono così belle viste tutte insieme che si dimentica di quanto dovrebbero spaventarci.

Le lucciole ci sono solo di maggio e sono stelle particolari perché si accendono e si spengono come un cuore che batte. Per osservarle si guarda in basso e il cielo stavolta è il terreno dove si muovono.

Le gocciole d’acqua sulle foglie non brillano se non le guardi in un certo modo. Se non le guardi in quel certo modo sembrano solo gocciole d’acqua sulle foglie, appunto. Ma quando stanno per cadere a terra e si sporgono dalla foglia, la luce delle stelle del cielo le illumina e le fa brillare.

Poi cadono a terra e bagnano le lucciole ed è così che i tre tipi di stelle diventano una cosa sola.

 

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Che abbiamo tutti da guardare il mare?

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Quattro panchine cinque persone una per panchina tranne l’ultima. C’è una coppia, sull’ultima.

Che abbiamo tutti da guardare il mare?

È piatto, color bianco, tutto uguale.

Non c’è una nave o barca o balena. Non c’è il sole al tramonto, manca ancora troppo tempo, non c’è un faro, che uno dice “Guarda il faro, ora non serve più ma c’è ancora, ora ci sono i satelliti, ma il faro è ancora lì. Bello però, anche se non serve più”

Ma non c’è nessun faro. Non c’è uno scoglio che spezza quel bianco uniforme che potresti dire “Quello scoglio è un pericolo per le barche”. Non c’è nemmeno qualcuno che nuota, che potresti dire “Se annegasse lo salverei e diventerei un eroe e quella bionda dell’altra panchina mi ammirerebbe”.

E allora cosa abbiamo tutti da guardare come se ci aspettassimo qualcosa? La gente anche di fronte al mare più piatto e insignificante guarda con la massima attenzione perché si aspetta qualcosa da un momento all’altro, qualcosa che cambierà il mondo. Non ho altre spiegazioni, altrimenti non avrebbe senso guardare in quel modo il mare.

È la cosa più infinita che l’uomo può toccare, e solo qualcosa di infinito può cambiare il mondo.

 

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Le stelle splendono per te

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Il  Corriere della Sera ha indetto un concorso per un racconto, chi vince verrà pubblicato col Corriere cartaceo nella collana ‘Corti di carta’.

Io ho scritto un racconto che si intitola come questo post. L’ho scritto pensando ai miei studenti e a una canzone dei Coldplay che amo molto, Yellow. Se volete leggerlo e votarlo sul sito del Corriere lo trovate a questo link.

La vittoria non dipende dai voti che riceverò perché chi decide sono solo i giornalisti del Corriere, però ci terrei a sapere se vi piace o no e che votiate secondo questo criterio e non ‘a simpatia’.

Fatemi sapere, grazie. La canzone è al link che vi incollo sotto.

http://www.youtube.com/watch?v=1MwjX4dG72s

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Gli orologi di Coltano

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Mio padre nel ’46 vendeva orologi ai prigionieri di Coltano.

Il padre di un suo amico aveva un negozio di orologiaio e il figlio prendeva gli orologi dal negozio, non ho mai capito se di nascosto o no, e li dava a mio padre che li andava a vendere ai prigionieri nel campo. Mi sono sempre chiesto cosa se ne facessero di un orologio i prigionieri di Coltano. Certo avranno avuto altri problemi piuttosto che guardare l’ora. Mio padre mi diceva che glieli passava attraverso le reti del campo e loro lo pagavano in amlire. Mio padre non era ancora maggiorenne e quello era un buon metodo per arginare la fame che c’era in quel tempo.

Il tempo non passa mai quando sei prigioniero, l’unica cosa che dava speranza a quegli uomini era l’orologio che segnava lo scorrere dei minuti e dimostrava che in quella fissità di giorni tutti uguali il tempo passava lo stesso e un giorno quelle reti sarebbero cadute e la libertà sarebbe tornata anche per loro.

Mio padre nel ’46 vendeva orologi ai prigionieri di Coltano…

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Zorro e l’amore

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Zorro insegue Cappuccetto rosso nel prato. E’ alto ottanta centimetri, meno della sua spada, e Cappuccetto rosso è più piccola di lui, bionda. Si vede perché il cappuccetto si è abbassato nella corsa. I Giganti, a distanza, li sorvegliano. Zorro cade sull’erba e si rialza subito, appoggiandosi alla lama di plastica della spada che si piega ma lo sostiene. Ha perso la maschera o forse l’ha tolta apposta perché la tiene in mano. Cade anche Cappuccetto rosso e si rialza in un battibaleno. Si fermano sotto una statua in piedi uno accanto all’altra, seri, perplessi. Lei doveva solo portare una torta e lui risolvere le ingiustizie del mondo. Ma proprio tutte. Zorro si rimette la maschera, lei si rimette il cappuccio. Poi i Giganti li raggiungono, li fotografano e li portano via da parti opposte. Loro li seguono ubbidienti, voltati indietro a guardarsi per l’ultima volta.

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Il mondo litiga

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Questo è un mio racconto di Natale per bambini inedito. Scaricalo pure e buona lettura. Se vuoi sapere di più sui miei libri clicca il pulsante sotto, grazie!

I miei libri

racconto di Natale per bambini

Racconto di Natale per bambini

Il mondo litiga

B. pensò che non c’era niente di più adatto di quel treno per il suo riposo. Dopo tutti quei giorni di lavoro era in un bello scompartimento con un uomo, una donna dall’aria nervosa e un bambino con la faccia seria. Non era un granché per essere la vigilia di Natale, ma non gli importava. Tutto era riposante dopo tutti quei giorni di lavoro.
La madre, se era la madre, si rivolgeva al bambino con gesti veloci, come se volesse fare qualcosa per lui ma ci ripensasse sempre all’ultimo momento. L’uomo leggeva qualcosa sul cellulare tenendolo a una certa distanza come fa chi ha bisogno di un paio di occhiali da lettura. B. anche se stanco, fu incuriosito dal bambino. Aveva nelle mani l’ultima console elettronica – B. La conosceva bene – e non la guardava neanche. Qualunque bambino non avrebbe avuto altro pensiero che giocarci, ma quel bimbo fissava un punto sul sedile vuoto di fronte. La donna si accorse che B. guardava il bambino e gli si rivolse.
“È un po’ serio” disse con un mezzo sorriso, quasi a giustificarlo. B. annuì: che errore! La donna ora non avrebbe smesso di tormentarlo per tutto il viaggio. Infatti riprese.
“È molto… deluso”. B. annuì ancora.
“Gli abbiamo appena spiegato una cosa: vero Martino?”. Il bambino annuì in silenzio. Ma alla donna non bastò.
“Cosa hai saputo? Diglielo al signore”. Il bambino non aveva nessuna voglia di parlare, tantomeno con uno sconosciuto, però obbedì alla madre.
“Babbo natale non esiste”. La donna sembrò soddisfatta.
“Ormai era pronto per saperlo. Pronto” ripeté quella parola più per il bambino che per B.
B. si voltò verso il finestrino ma nel buio della campagna non si vedeva nulla, né in cielo né in terra, né lampioni né stelle. Per fortuna la donna non parlò più e si addormentò. L’uomo accanto a lei sembrava estraneo a tutti loro e anche al treno, come un’immagine trasmessa dallo schermo di una tv, apparteneva a un altro universo. Il bambino posò la console sul sedile e abbassò la testa. B. pensò che si fosse addormentato, invece vide una lacrima che cadeva dalla guancia. Si avvicinò al bambino facendo attenzione a non fargli capire che si era accorto che piangeva e si rivolse a lui:
“Ti dispiace per quella cosa che ti hanno detto?”. Il bambino scosse la testa.
“No. Piango perché il mondo litiga” e fece un gesto con la mano per indicare il mondo. “Avevo chiesto a Babbo Natale che il mondo smettesse di litigare e invece mi hanno dato quella” indicò la console.
B. tirò fuori da una tasca della giacca qualcosa e lo passò al bambino.
“Mettiglielo lì accanto” disse indicando la donna. Era un fiore bellissimo, una gerbera fucsia. La donna si svegliò e la prima cosa che vide fu il fiore. Sorrise – era il suo fiore preferito – lo annusò e si girò verso l’uomo. Lui distolse lo sguardo dal telefono e ritornò uomo di carne e non immagine soltanto. Lei lo baciò sulla guancia. Il bambino guardò B. ridendo.
“Tu sei…”
“Shhhhh, non dirglielo. Non sono ancora pronti per saperlo”.

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Prima del viaggio (o dell’imprevisto)

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prima del viaggio L’altra mattina a Viareggio il traffico dei pendolari che andavano a lavorare era quello solito. Ad un tratto l’auto che mi precedeva si ferma in piena Aurelia senza un apparente motivo. Io penso al solito Apino carico di macerie guidato da omino con tuta e cappello, ma sporgendomi non vedo traccia del funesto mezzo. Cosa impedisce il flusso mio e dei miei compagni d’ingorgo? Sei papere. Sei papere attraversano in fila indiana l’Aurelia. Altezzose e lente perché sanno di essere loro le dive e vogliono farsi vedere, sculettano da un ciglio all’altro della strada. Una è più piccola e sta nel mezzo. Sette papere bianche e gialle, solo due pallini neri per gli occhi che vedono a 360 gradi. Sono loro che dettano legge in quei due minuti. Sono loro l’imprevisto. Giunte di là si sparpagliano sul bordo del fosso mentre noi rimettiamo la prima e ci avviamo alla meta. Con un sorriso e un dubbio: avevano davvero bisogno di fermare il traffico o l’avranno fatto apposta, per far vedere che, come nella poesia di Montale ‘Prima del viaggio’  solo un imprevisto ci può salvare?

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Vecchioni, Saffo e Ciajkovskij

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Vecchioni entra in ritardo di mezz’ora, sorridendo, preceduto da cinque orchestrali: due violini, una viola, un violoncello e un pianista. Io mi preoccupo, e la batteria? E le chitarre elettriche? Il bassooooooo…

Macché: due violini, una viola, un violoncello e un pianoforte.

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Vecchioni spiega che quel concerto sarà un dialogo con Dio a tutto campo. Sente la nostalgia di qualcosa Vecchioni e lo urla anche quando canta sottovoce. Mette parole sue su musica di Ciajkovskij, mette musica sua su parole di Saffo e poi canta ‘Vissi d’arte’:

Nell’ora del dolore,
perché, perché Signore,
perché me ne rimuneri così?”

Tutti noi cantautori dobbiamo tantissimo a Puccini, dice.

Una donnina dietro di me ripete il testo di ‘Luci a San Siro’, come quelle vecchiette che ripetono le parole del prete durante la messa quando non si dovrebbe. Sto per ucciderla ma smette in tempo per evitare una fine dolorosa.

Finisce con Samarcanda. E’ il più bel concerto che gli abbia mai sentito fare. Due violini, una viola, un violoncello e un pianoforte.

E il suo cuore.

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Il vecchio e il sogno

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Il vecchio mi accolse nel suo bell’appartamento e mi fece sedere su una vecchia poltrona. A ben vedere tutto era vecchio in quella casa, però tenuto bene, come in quelle case dove una donna si occupa della casa.

Si scusò per il disordine e mi spiegò che da poco era morta sua moglie e non aveva nessuno che si occupasse della casa, per quello era tutto così…

Mi disse anche  che sperava di sentire quella chiave che si infilava nella serratura della porta, ma non era più possibile, perché lei non c’era più.

Notai a destra della poltrona dove stava seduto quella bombola grigia dell’ossigeno.

Se  ne accorse: “Non la veda così, non la veda come se io non potessi più uscire da questa casa, come fosse una prigione. La veda come se non ci fosse più necessità di uscire per me e questo appartamento io potessi chiamarlo ‘Mondo’ senza considerarmi pazzo”. Annuii, ma si vedeva che non gli credevo.

“Sa, quando ero giovane tutto quello che facevo era per realizzare i miei sogni”.

“Ora tutto quello che posso fare è aiutare gli altri a realizzare i loro”. Fissò un punto sul pavimento.

“Non è la stessa cosa”.

No. Non è la stessa cosa

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Tutti splendiamo

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L’8 dicembre di ventinove anni fa morì John Lennon.

Non ricordo cosa ho fatto ieri, e i nomi e i volti di chi incontro, tanto che ogni volta mi presento e l’altro mi guarda stupito e di solito dice: “Fabrizio, sono XY, ci siamo conosciuti l’anno scorso a…”

Ricordo perfettamente dov’ero e cosa facevo 29 anni fa. Ero a scuola, terzo anno di liceo classico e le cose andavano malino. Andavo male a filosofia, materia nuova che non mi piaceva. Quel matto aveva sparato a John Lennon la notte prima. Ero con la mia amica Teresa e ci dicemmo che eravamo tristi, affacciandoci alla finestra della nostra classe, anche se non ricordo le parole precise. Il tempo era come noi, grigio e piovoso.

Poi arrivò la professoressa e tutto ricominciò come sempre.

Pensai che ero grato a Lennon perché aveva cantato una cosa che nessuno ci aveva mai detto, professori, genitori, maestri di vario tipo: “We all shine on, like the Moon and the Stars and the Sun” Tutti splendiamo come la luna le stelle e il sole.

Pensai che era vero guardando i miei compagni di classe, allora brutti anatroccoli come me, e lo penso ancora guardando i miei ragazzi ora che sto dalla parte di là della cattedra.

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Lavori in pelle

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Sto leggendo Blade Runner per lavoro. Mi hanno affidato 3 ragazzi che “non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica” e io gli faccio un’ora alla settimana al posto del collega di religione, appunto. Amo Philip k. Dick perciò ho scelto quel romanzo. La lettura va un po’ a rilento perché non è un libro semplice sia dal punto di vista linguistico che dei contenuti. Spesso fermo la lettura e spiego, così anch’io capisco meglio.

Per ora ho detto solo ai ragazzi che parla di alcune persone che sono considerate cose (lavori in pelle) ma che se si feriscono sanguinano e se sono tristi piangono. E di come quello che dovrebbe essere il loro carnefice pian piano si converte di fronte all’evidenza che sono esseri umani come lui. Ma sono tutte cose di pura fantasia. Chi di noi considererebbe mai qualcun altro come un oggetto da usare e buttar via?!

E’ fantascienza, no?

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Cuore e ragioniere

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Scuola media.

scuola media

Stamani sono andato in una scuola media a fare ‘orientamento’, ovvero a spiegare ai ragazzini di terza media cosa facciamo nella mia scuola (un I.T.C.G.) e come succede che si diventa geometri e ragionieri.

Mi ha colpito un ragazzino in ultima fila con i capelli a cresta tenuti su con mezzo litro di gommina. Sembrava più piccolo degli altri. Non guardava verso di me che parlavo ma alla sua destra davanti. Con l’occhio esperto nel cercare i motivi di distrazione dei miei ragazzi seguo il suo sguardo e scopro dove va a infrangersi. Colpisce la ragazzina più carina, quella che sta accanto a una sua amica carina come lei, quella che ha la tua età ma dimostra 5 anni di più e che non può considerarti appartenente alla sua stessa razza.

Gli occhi del bambino sono espressivi e tristissimi, guarda la ragazza per un bel po’, mentre lei chiacchiera con la sua amica e sorride a un ripetente che dimostra 3 anni più di lei e quindi 8 più del bambino. Poi si rassegna e comincia a leggere il depliant della mia scuola, col quadro orario delle materie e tutto quello che si deve fare per diventare ragioniere.

Tra le notizie sulla mia scuola avrei voluto dire a quel bambino di non smettere di guardare quella ragazza e che sarà un bravo ragioniere anche senza rinunciare all’Ideale.

Oppure magari farà il mestiere del protagonista della canzone di Vecchioni.

Scuola media

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Internet e l’Oracolo (Parte prima)

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Dovete sapere che esistono dei programmi che mostrano le statistiche del proprio Blog (numero di visite, pagine visitate ecc) e anch’io ne ho uno molto buono.

Ora, questi programmi mostrano anche le parole chiave con cui un visitatore ha trovato su un motore di ricerca il Blog. Quindi io posso vedere quali sono le parole chiave che una persona usa per trovare il mio fantastico Blogghettino. Naturalmente non so né potrò mai sapere chi sia quel visitatore, conosco solo le parole che ha scritto sul motore di ricerca.

Con questo post inauguro una serie di articoli che porterà molte sorprese, belle, meno belle, comiche e che spesso fanno riflettere.

Ad esempio uno ha scritto:

  • Cercare un senso in tutto

E mi ha trovato. Ne sono felice, è quello che cerco di fare e che tutti cercano, anche senza saperlo.

Molto spesso c’è l’amore di mezzo, ad esempio qualcuno ha scritto:

  • Perché non mi ha voluto vedere? (forse non sei il suo tipo…)

Oppure, più di una persona ha chiesto:

  • Cosa devo fare per farmi amare? (a me lo chiedi?)

Questa ingenuità mi ha commosso, come se un sito, un Blog, un motore di ricerca potessero rispondere a una domanda così umana e profonda. E mi sono reso conto all’improvviso che spesso Internet è visto come un oracolo che può rispondere a qualsiasi domanda, forse perché non si sa più a chi chiedere.

A chi la chiedi una domanda come quella di chi ha scritto: “No non può finire così la vita”?

Chiudo questa prima puntata dicendovi, giuro che è vero, che uno ha scritto su Google: “Moda capelli uomo 2009″

e ha trovato me…


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Il Claddagh ritrovato

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Ho ritrovato un Claddagh in fondo ad un armadio. Il Claddagh è l’anello di fidanzamento tipico dell’Irlanda. È formato da un cuore due mani e una corona. Il cuore rappresenta l’amore, le mani l’amicizia e la corona la lealtà.

Lo comprai a Dublino nella mia vita precedente. Ero convinto di averlo perso e invece era lì nascosto sotto scartoffie molto meno nobili di lui che lo soffocavano. Rimuovendo una scartoffia mi ha luccicato argenteo e si è fatto salvare.

Povero Claddagh, io per primo, e poi tutti gli altri, abbiamo tradito tutto, ma proprio tutto quello che rappresenti. Povero Claddagh, sei sicuro di voler tornare e rischiare altri tradimenti e prese in giro?

Sicuro sicuro sicuro?

Vabbè, ci sto, per ora ti metto in una scatolina di plastica, quella della penna d’argento che mi hanno regalato in quanto scrittore, e poi aspettiamo.

La canzone di Bob Marley è bellissima, ascoltatela. Dice:

Mi son svegliato stamattina
sorridente con il sole che stava sorgendo
tre piccoli uccelli
erano seduti sul gradino della porta
cantando dolci canzoni
dalle melodie pure e vere
e dicendo “questo è il mio messaggio per te”

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Don Chisciotte

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Il cavaliere dell’eterna gioventùdon chisciotte

seguì, verso la cinquantina,

la legge che batteva nel suo cuore.

Partì un bel mattino di luglio

per conquistare il bello, il vero, il giusto.

Nazim Hikmet, essendo un poeta vero, fa capire perfettamente al lettore in cinque versi cosa spinse Don Chisciotte a mettersi su quella specie di mulo che era Ronzinante, con un ciccione brontolante al fianco e partire.

Non lo fece per un’idea astratta, ma perché, a un certo punto della sua vita ‘verso la cinquantina’, dovette seguire la legge che batteva nel suo cuore. E Hikmet non si riferisce solo all’amore per Dulcinea. Quello è una conseguenza, non la causa.

Tutto parte dal desiderio di conquistare il bello, il vero, il giusto perché è questa la legge che batte nel nostro cuore.

E noi, amici, quand’è che partiremo?

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Perché l’Altieri scrive

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Il romanzo “Rossana, il sogno e il ragno Calatrava” in parte è autobiografico, come tutte le opere scritte da qualsivoglia scrittore. Ad un certo punto al protagonista Maurizio, scrittore che sta presentando davanti ad un pubblico il suo romanzo, viene posta la domanda: “Perché scrivi?”.

Lui si trova in grave imbarazzo perché è una domanda talmente grande che… non se l’era mai posta. O meglio, se l’era posta ma aveva cercato di censurarla. Succede spesso con le domande troppo grandi.

Poi Maurizio si riprende e la sua umanità gli fornisce una risposta, che vi andrete a leggere, voglio sperare.

Forse però la risposta sarebbe stata più completa se Maurizio avesse ricevuto la mail che mi è stata inviata tre giorni fa e che vi incollo:

Gentilissimo Fabrizio, l’ho incontrata a Imperia, alla fiera del libro, circa un mese fa… Ho letto il suo libro, ma che fantasia ha? Mi sono davvero divertita anche durante la seduta di chemioterapia, grazie mille di cuore. Ci riprovo anche con gli altri suoi libri, ma lei non smetta di scrivere!
A presto.

Ora so perché scrivo.

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Le due zone del tavolo alla cena della Maturità

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Dopo aver letto il post L’uomo che vestiva le statue un mio ex studente, ora geometra e studente universitario, mi ha scritto: “Chissà se la nostra generazione lascerà qualcosa”. Mi ha colpito questo timore e siccome con le nuove generazioni ci lavoro (per fortuna) mi sono chiesto se aveva ragione.

Ogni generazione è diversa dalla precedente e da chi seguirà e ogni generazione pensa di essere la migliore di tutte, passate e future; e naturalmente questo non è mai vero.

Ho cercato di rispondergli qualcosa di incoraggiante ma suonava posticcio e di maniera. Allora ti dico, Simone, che ho scoperto che alle famose cene di fine anno scolastico con le quinte, prima dell’esame di maturità, il tavolo si divide in due parti distinte.

No, non zona-studenti, zona-professori. Si divide tra zona in cui si parla di come è cambiato il mondo e zona in cui si parla di come fare per cambiare il mondo.

Stai sempre in quest’ultima zona e lascerai qualcosa di grande.

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Il tabaccaio che mi ha voluto bene

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Ieri mattina sono andato a pagare la tassa sui rifiuti e a chiedere informazioni. C’era molta gente e il mio bigliettino segnava 139. Ogni tanto lo guardavo per vedere se cambiava ma il numerino rimaneva 139. Speravo, che so, in un 134 ma mi sarebbe andato bene anche un 136. Il sogno era scendere sotto il 130 ma questo sarebbe stato chiaramente impossibile. Dopo un bel po’ è scattato il 139 sul tabellone elettronico e sono entrato.

Una signora gentile mi ha spiegato che potevo pagare il 30% in meno, ma non avendo fatto domanda avrei dovuto pagare tutta la cifra. Però mi ha dato la lista dei tabaccai convenzionati dove non avrei speso l’euroeddieci di commissioni. In cambio le ho lasciato l’immutabile e coerentissimo bigliettino 139 e sono andato al tabaccaio convenzionato. Uomo gioviale di circa sessant’anni, mentre lavorava sul mio pagamento al computer ha visto che fissavo un punto dietro di lui. Era un teatrino con delle figure, sorpresa di un ovetto Kinder, che stava sullo scaffale tra le sigarette e i grattaevinci. L’ha preso e mi ha chiesto: “C’hai un bimbo?” (trad. “Hai procreato un discendente, vero? Altrimenti perché fisseresti con evidente desiderio di possesso la sorpresa di un ovetto Kinder?”).

“… Ehm… n-no” (trad. “In effetti non ancora e ciò un po’ mi imbarazza”).

“Deh, fallo!” (trad. “Poffarbacco, procrea una discendenza, non vorrai andare avanti in codesta maniera!”).

Mi ha regalato la sorpresa e me l’ha messa in un sacchetto perché non si sciupasse. Io mi sono sentito voluto bene, anche se il tabaccaio non l’avevo mai visto in vita mia.

Guardate la foto della sorpresa; non è bella?

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Fabri Fibra cerca un senso

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Ieri ho visto Fabri Fibra nella trasmissione della Ventura. Mi sta simpatico Fabri Fibra e alcune sue canzoni mi piacciono. Ricorre spesso il tema della ricerca di un senso per tutto quello che di brutto ci accade. E a lui devono essere accadute un bel po’ di cose brutte.

Allora ribalto la prospettiva. Cerca un senso alle cose belle che ti accadono, Fabri Fibra. A tutti accadono. Cosa c’è dietro il sorriso della tua donna, o quella canzone che t’è riuscita così bene?

Una cosa bella che mi è accaduta sono i miei amici.

Ieri Fabri Fibra ha terminato la canzone con una frase che non compare nel testo ufficiale. Ha detto: “Ragazzi, non fidatevi mai di nessuno. Di nessuno”. Io non condivido questa frase. Io dei miei amici mi fido e anche Fabri Fibra, se ha amici veri come ho io, dovrebbe farlo.

Altrimenti, inevitabilmente, si perderà e la vita sarà solo una grossa fregatura.

Magari ricco, ma fregato.

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Come sei stasera

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Ricordate il post ‘Perché Woody Allen è un genio’? Ci sono dei momenti in cui tutto è – non sembra: è – perfetto. Quasi sempre c’è di mezzo anche una ragazza. Anche i musicisti se ne sono accorti e un esempio è la canzone che ho incollato alla fine. Si intitola The way You look tonight ed è uno ‘Standard’ cantato da Frank Sinatra e tanti altri.

Ho messo la versione di Fred Astaire che preferisco perché è carica di sensualità (nel ’37 era già stata inventata da un po’) e ironia, due cose che raramente vanno insieme, ma quando lo fanno raggiungono vertici insuperabili.

Leggete il testo. A un certo punto dice:

Un giorno, quando sarò davvero giù,
quando il mondo sarà freddo,
sentirò calore solo pensando a te…
e a come sei stasera.

Io ce l’ho un ricordo così, però se fosse solo un ricordo non potrebbe bastare. Infatti non mi basta, ma per fortuna non è solo un ricordo. È qualcosa di presente e, devo riconoscere, molto concreto.

E voi avete qualcosa, o qualcuno, che vi scalda quando avete freddo dentro, e che non è solo un ricordo?

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Per fare tutto ci vuole un fiore

Favole per bambini

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Non ho mai più avuto amici, in seguito, come quelli che avevo a dodici anni“.

La frase non è mia, ma di Stephen King (Stand by me), lo dico perché non vorrei che si offendesse e tirasse fuori da un suo libro qualche mostro scatenandomelo contro.

Ognuno di noi lo potrebbe dire, non è vero? Allora mi sono messo a cercare quali sono le differenze tra un bambino e un adulto, per capire cosa mi ha fatto diventare così. Sono un po’ limitato e non ne ho trovate molte, te le scrivo.

Cosa distingue un bambino da un adulto:

  • Ciò che per un adulto è un problema per un bambino è occasione di gioco.
  • I bambini riconoscono se una cosa è bella o brutta, non ci vuole qualcuno che glielo spieghi.
  • Un bambino chiede ad un adulto: “Perchè hai fatto in quel modo?”, non ci pensa neanche che quanto gli ha visto fare non abbia senso.
  • Per un bambino il gioco è più importante dei rappresentanti dell’altro sesso, per gli adulti i rappresentanti dell’altro sesso sono un gioco.
  • Per un bambino, per fare tutto ci vuole un fiore.

E secondo te, cosa distingue un adulto da un bambino?

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Il Piccolo Principe e i morti dell’Abruzzo

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I miei libri

il piccolo principeIeri ho parlato del romanzo che amo di più in assoluto: Il Piccolo Principe. Ero alla mia scuola, invitato da alcuni miei colleghi che insegnano lettere. C’erano moltissimi ragazzi e qualche adulto. Non vi sto a raccontare l’incontro, ci vorrebbe troppo, ma posso dirvi che non sono bravo a preparare gli incontri, neanche quando parlo di me, figuriamoci quando parlo di un altro. Però sono stato fortunato, perché su un giornale avevo trovato la notizia che il più grande violinista del mondo, per un giorno, si è messo a suonare nella metropolitana di New York un pezzo difficilissimo con un violino da qualche milione di euro.

Non l’ha considerato nessuno. Nessuno tranne i bambini e in particolare uno di tre anni che non voleva staccarsi da quell’uomo e dalla sua musica anche se la mamma lo tirava e doveva andare. E piangeva e non voleva andarsene.

I miei libri

‘L’essenziale è invisibile agli occhi’ dice De Saint Exupéry nel romanzo e quel bambino, tutti i bambini, e anche gli adulti col cuore di bambini lo sanno. L’essenziale era quella splendida musica suonata così bene, non lo sfigato che suonava in metro, che poi sfigato non era.

Ho concluso dicendo che il Piccolo Principe rappresenta sì anche l’autore da bambino, ma non può essere solo questo. Perché altrimenti il romanzo finirebbe malissimo. Dico, un bambino che si fa mordere da un serpente e muore! Peggio di così…

Io penso che non sia una morte come fine di tutto, perché se tutto finisse veramente così sarebbe proprio un bel casino. Il Piccolo Principe è un libro pieno di speranza e non solo un bel ‘Com’eravamo ganzi da bambini’ come spesso viene ridotto.

Sono giorni particolari questi, i morti giacciono ancora sotto le travi crollate. Ieri ci pensavo, mentre parlavo di quel bambino che muore ma non è vero che sparisce per sempre. È solo tornato da dove era venuto. E così, io credo, tutti i morti dell’Abruzzo.

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Perché Woody Allen è un genio

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C’è un brano bellissimo di “Stardust Memories” di Woody Allen in cui lui alla propria commemorazione, sebbene morto (grandissima trovata), descrive davanti a un folto pubblico un momento di una sua giornata.

Andatevelo a rivedere è un film eccezionale, ma quel passo mi ha colpito perché dimostra il genio assoluto non solo comico e drammatico, ma anche ‘umano’ di Allen.

Stava in casa con la sua donna (Charlotte Rampling) e lei leggeva un libro davanti a lui.

La giornata è splendida, è una delle prime domeniche di primavera a New York e soffia una lieve brezza. La ragazza è stupenda e lui la ama da morire, la musica è struggente, tutto è armonia e Woody si sente così felice da affermare: “Quel momento di contatto mi commosse in modo così profondo!”.

Contatto con cosa? Con la bellezza che è lo splendore del vero.

Un passo in più, Woody: non vorresti che quel momento fosse per sempre?

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Come vendere cinque libri in libreria e guadagnare un sorriso

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L’altro giorno sono stato in una libreria molto bella a vendere e firmare le copie dei miei libri. È una cosa che faccio di sovente, tanto che l’ho inserita anche nel mio ultimo romanzo, Rossana, il sogno e il ragno Calatrava, perché spesso si creano delle situazioni divertenti. Però nei giorni infrasettimanali si vende poco perché ci sono poche persone anche se la libreria è molto grande e importante.

Così ho venduto cinque libri in due ore che, vi assicuro, non è un cattivo risultato.

I miei libri

Poi ho conosciuto la responsabile della libreria, una ragazza gentilissima, simpatica e professionale che mi ha spiegato che in alcuni locali adiacenti aprirà un parrucchiere. Purtroppo, per ragioni evidenti non mi riguarda, ma mi ha fatto piacere. Le librerie non devono essere luoghi sacrali di taglio cimiteriale, ma cose vive. E allora va bene il bar, lo scrittore che firma e sorride e anche il parrucchiere.

E poi ho venduto una delle cinque copie a una ragazza che ha ottenuto il diploma in ospedale senza aver potuto mai frequentare le superiori per gravi problemi di salute. Ora sta bene e vuol fare la psicologa o la fisioterapista.

Anche se avessi venduto solo quella copia, per quel sorriso e quella voglia di essere finalmente felice sarebbe valsa la pena stare lì…

…col mio amico Marco Bernini che mi pigliava in giro, come si vede dal video.

un pisano a livorno 1 from Marco Bernini on Vimeo.

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Il bello è ovunque

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illogica allegriaLa strada che faccio per andare a scuola è sempre la stessa. C’è l’Aurelia con le prostitute c’è la superstrada con la macchina dell’autovelox ferma nella piazzola, sempre la solita, ormai lo sanno anche i gabbiani. E c’è il solito gatto schiacciato, tutti i giorni diverso. E poi ci sono le Apuane. La neve ormai è quasi sciolta, ma d’inverno sono tutte bianche e quando le vedi capisci perché si chiamano alpi. Perché sono alpi vere e pericolose e insidiose come solo le alpi sono. E quando le vedo dopo le prostitute e l’autovelox e il gatto schiacciato sono contento.

Al ritorno guardo il film alla rovescia – apuane, gatto schiacciato, autovelox, prostitute – ma non sono meno felice. Il bello è ovunque. L’occhio dell’autovelox è dello stesso blu oltremare dell’Arno in certe sere d’estate, la prostituta ha gli occhi neri come la terra da cui proviene e perfino il gatto schiacciato ha una morbida coda bianchissima.

Il bello è ovunque, e mi afferra una illogica allegria.

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Gli sguardi di Fabriano

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itis Merloni

 Ieri ho fatto un incontro con i ragazzi dell’ ITIS Merloni (quello delle cucine, proprio lui) a Fabriano e grazie a loro ho visto alcune cose che non avevo mai visto.

Chi scrive sa una cosa: la maggior parte di quello che si trova nelle proprie opere te lo fanno notare i tuoi lettori. Che il lettore sia il supercritico del tal quotidiano o un ragazzo di quindici anni non è importante.

Un esempio? Si parlava di un pezzo del mio primo romanzo “Il caso Cicciapetarda” e abbiamo convenuto che il moralista che vede un uomo nudo che balla benissimo vede solo un uomo nudo e non come è bravo a ballare. Vede un particolare insignificante, non l’essenziale, perciò si scandalizza.

E che l’arte è l’espressione dell’umanità delle persone senza serie A e serie B. L’hip hop non è meno arte di Puccini, anche se sono due cose diverse.

Abbiamo infine convenuto che somiglio a Spalletti, ma questo lo sapevamo già, sia io che lui.

Grazie ragazzi di Fabriano.

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