E’ uscito ieri il seguito di Melerè la musica bambina. Si intitola Melerè al circofarfalla e ne vado molto fiero perché le musiche di Marco Simoni sono bellissime, le illustrazioni di Alessandra Vitelli sono oniriche e realistiche insieme, che è la cosa più difficile, e il gioco di Creativamente (stavolta si tratta di carte con i personaggi della favola) è bello e divertente. Può essere un regalo di Natale bello ed educativo, potete trovarlo nelle librerie per ragazzi e nei negozi di giocattoli in oltre 500 punti vendita di tutta Italia. Clicca qui e avrai l’elenco città per città.
Cliccando invece qui potrai leggerne qualche pagina e comprarlo sul web.
Ospito un graditissimo intervento del derelitto Maestro Fab Van Alt su come vanno le cose nel mondo dell’editoria oggigiorno.
Che dire, è incomprensibile.
E’ incomprensibile che l’Autore di romanzi come ‘La Deprimenza’ e ‘Disgrazia e disappunto’ (vincitore del premio “Sfortuna e scrittura 2009”) non sia ancora su ebook in formato epub.
No cari amici, il mio editore mi pubblica su tavolette di cera che, tra l’altro, si sciolgono oltre i quaranta gradi tanto che nessuno può leggere i miei romanzi sdraiato sulla spiaggia perché gli colerebbero dalle mani. A volte penso che si vergogni di me per la mia vita sregolata e borderline (qualunque cosa significhi).
E invece vedo che il mio ospitante, Altieri, da oggi è su tutti i portali di ebook con i suoi libercoli in quel formato e chi ha un lettore di ebook può comprarseli alla metà del prezzo del libro di carta. Che vergogna, che ludibrio per la cultura mondiale!
Ringrazio l’immenso scrittore Van Alt per questo profondo intervento e vi dico solo che potrete acquistare i libri del vostro scrittore preferito in formato ebook a questo indirizzo.
Esco dalla scala antincendio verso il parcheggio, nero.
Nella palestra accanto un ragazzo e una ragazza ballano. Si sente un tango, solo loro e il maestro che osserva in silenzio.
Tutta la palestra è loro, tutto lo spazio, tutta la luce della palestra è loro e soltanto loro. Tutta la musica del mondo è in quel tango, ed è loro, tutti i movimenti di tutti i balli del mondo in quel tango. Appartengono solo a loro. Per questo il maestro tace: non è suo il ballo di quei due. I loro occhi si fissano, i piedi non occorre guardarli come fa un grande calciatore. Chi ha classe tiene lo sguardo alto e avanza senza curarsi dei propri passi.
E’ nero il parcheggio non vedo la serratura dell’Alfa. Quando la trovo entro ma non parto. Calo il finestrino e li guardo; li vedo anche da lì, attraverso dalla vetrata dell’uscita d’emergenza. La palestra è un’astronave di luce azzurra nel buio e loro devono solo stare attenti alla rete da pallavolo, a non finirci contro. Quando finisce la musica il maestro fa sì con la testa. Loro si fermano e si staccano anche se è chiaro che sono intrecciati come prima. Escono, salgono in moto e vanno via. Si spegne la luce, anche l’astronave sparisce.
Tiro su il finestrino. Ringrazio il cielo per tutto questo.
Il palco è enorme, enorme anche per una festa della birra, non me l’aspettavo così. I musicisti sono dieci bavaresi in pantaloni corti di pelle – che ti aspetti dai bavaresi? – ma solo uno è autorizzato a parlare italiano e lo parla come un bambino, un bambino tedesco. Presenta le canzoni, tutte straconosciute in Bavaria, un po’ meno da noi. il mare è a duecento metri in linea d’aria e fa strano sentire la risacca nelle pause della musica. Ogni tre canzoni il bavarese italianista ordina ‘Ein Prosit ein Prosit ein Prosit’ e alcuni alzano il boccale, più per paura di ritorsioni da parte dei tedeschi che per convinzione; sul palco hanno quei tubi che fanno tutto quel fumo… e se fossero armi? La coppia di fronte a me non la conosco, hanno un bambino. Il bambino prende confidenza, i bambini la confidenza ce l’hanno col mondo, e mi svela i suoi progetti per impadronirsi delle decine di metri di cavi d’acciaio che portano elettricità ai fari immensi che illuminano il piazzale. Il piano è ben studiato, potrebbe anche riuscire. Il motivo per cui lo farà me lo spiega: vuole utilizzarli per avere elettricità gratis a casa sua. È una buona ragione. Ha un buon piano e una buona ragione. I bavaresi improvvisano un rock anni ’50 e per la prima volta sembrano davvero felici, il chitarrista soprattutto. Fa l’assolo come se la chitarra fosse un mitra e sparasse sul pubblico. Mi ricorda i soldatini della Matchbox che avevo da bambino. La Wehrmacht. Lo dico al bambino che fa cenno di aver capito, ma si vede che pensa a qualcos’altro. Il bavarese dice qualcosa e qualcuno si alza in piedi. Capisco che stanno per fare l’inno italiano e quello bavarese. L’inno italiano lo sbagliano, sembra una canzone di Toto Cotugno. Quello bavarese è bello, lo suonano come se stessero per morire tutti per la loro terra, gli italiani ascoltano in silenzio, nessuno lo conosce, ma nessuno fiata, neanche gli ubriachi. All’improvviso sparisce la luce. Nel buio totale il mormorio di stupore e fastidio della gente e poi una voce che grida: “I cavi, sono spariti i cavi!”.
Il rubinetto perdeva da mesi, ma non mi importava, finché non ho visto la bolletta. Allora mi è importato.
L’idraulico è un uomo buono. Mi sorride, anzi sorride alla rondella mentre la fissa col dado cromato. Il dado non lo vedrà mai più nessuno là dentro lo scarico del lavabo, ma è cromato lo stesso. La rondella non terrà, o almeno non dovrebbe farlo. È rimediata come quel dado cromato che dovrebbe trattenerla.
“Ieri sera un mio amico festeggiava il compleanno. Mi ha invitato al doncarlos, la discoteca. C’erano donne, tante donne.” Stringe il dado con la tenaglia arancione, una volta, ora è grigia e ha esperienza.
“Me ne ha presentata una e mi ha detto questa se ti prende ti riduce male.”
Il dado avanza velocemente sulla filettatura. Non c’è resistenza. Lui non smette di sorriderle, penso sia per quello che il dado tiene.
“Ho parlato con quella donna, era simpatica mi ha detto che era divorziata e che le piaceva ballare quei balli sudamericani perché sono divertenti la fanno ridere e le sembra di volare.”
Il dado ora avanza più lento, lo sforzo aumenta la tenaglia va sicura come chi sa che vincerà di certo.
“Abbiamo fatto un ballo. Poi le ho detto che dovevo tornare a casa e lei ha fatto cenno di sì. Con il capo ha detto sì. Domani devo lavorare non sono abituato, se faccio tardi poi lavoro male. Lei ha fatto cenno di sì ha detto ochei e ci siamo salutati. Poi sono venuto via.”
Il dado si ferma, ha raggiunto la meta più di così non va, e neanche deve andare. Apre e chiude il rubinetto apre e chiude e aspetta. Apre e chiude un’ultima volta. Rimette la tenaglia grigia nella cassetta degli attrezzi e chiede se può sciacquarsi le mani. Ma certo.
Chiede venti euro per due ore di lavoro. Gliene do trenta, ma mi tocca insistere. E un bicchier d’acqua.
Il rubinetto non perde più, la rondella tiene. Il dado cromato fa il suo dovere, anche se nessuno lo vedrà mai. Sono certo che se non fosse stato cromato non avrebbe resistito nel buio del lavabo, avrebbe ceduto.
L’altra mattina a Viareggio il traffico dei pendolari che andavano a lavorare era quello solito. Ad un tratto l’auto che mi precedeva si ferma in piena Aurelia senza un apparente motivo. Io penso al solito Apino carico di macerie guidato da omino con tuta e cappello, ma sporgendomi non vedo traccia del funesto mezzo. Cosa impedisce il flusso mio e dei miei compagni d’ingorgo? Sei papere. Sei papere attraversano in fila indiana l’Aurelia. Altezzose e lente perché sanno di essere loro le dive e vogliono farsi vedere, sculettano da un ciglio all’altro della strada. Una è più piccola e sta nel mezzo. Sette papere bianche e gialle, solo due pallini neri per gli occhi che vedono a 360 gradi. Sono loro che dettano legge in quei due minuti. Sono loro l’imprevisto. Giunte di là si sparpagliano sul bordo del fosso mentre noi rimettiamo la prima e ci avviamo alla meta. Con un sorriso e un dubbio: avevano davvero bisogno di fermare il traffico o l’avranno fatto apposta, per far vedere che, come nella poesia di Montale ‘Prima del viaggio’ solo un imprevisto ci può salvare?
Mi hanno regalato un Bimby. Non sapevo cosa fosse prima che me lo regalassero, sapevo solo che alcune mie amiche ne vanno pazze perché serve per cucinare, ma io non ne sentivo il bisogno. Io ho le mie insalate infinite, quelle insalate che durano settimane perché ogni giorno aggiungo nuovi ingredienti e loro acquistano nuova vita.
Allora ho iniziato a usarlo, ma le ricette sono per quattro persone e mi venivano spezzatini coi piselli buoni ma longevi come un sardo di quel paesino dove campano tutti oltre cent’anni. Poi degli amici mi hanno dato l’idea geniale: dimezzare le dosi. Come avevo fatto a non pensarci? Nel ricettario non era previsto e io seguo sempre alla lettera le istruzioni! Il dubbio era: ma i tempi di cottura sono gli stessi o li devo diminuire? Posso affermare con certezza, a meno che non vi piaccia lo spezzatino crudo con piselli crudi, che i tempi devono essere gli stessi, le dosi non contano. Ora scusate ma devo andare a finire di cuocere lo spezzatino.
Vecchioni entra in ritardo di mezz’ora, sorridendo, preceduto da cinque orchestrali: due violini, una viola, un violoncello e un pianista. Io mi preoccupo, e la batteria? E le chitarre elettriche? Il bassooooooo…
Macché: due violini, una viola, un violoncello e un pianoforte.
Vecchioni spiega che quel concerto sarà un dialogo con Dio a tutto campo. Sente la nostalgia di qualcosa Vecchioni e lo urla anche quando canta sottovoce. Mette parole sue su musica di Ciajkovskij, mette musica sua su parole di Saffo e poi canta ‘Vissi d’arte’:
“Nell’ora del dolore,
perché, perché Signore,
perché me ne rimuneri così?”
Tutti noi cantautori dobbiamo tantissimo a Puccini, dice.
Una donnina dietro di me ripete il testo di ‘Luci a San Siro’, come quelle vecchiette che ripetono le parole del prete durante la messa quando non si dovrebbe. Sto per ucciderla ma smette in tempo per evitare una fine dolorosa.
Finisce con Samarcanda. E’ il più bel concerto che gli abbia mai sentito fare. Due violini, una viola, un violoncello e un pianoforte.
Il vecchio mi accolse nel suo bell’appartamento e mi fece sedere su una vecchia poltrona. A ben vedere tutto era vecchio in quella casa, però tenuto bene, come in quelle case dove una donna si occupa della casa.
Si scusò per il disordine e mi spiegò che da poco era morta sua moglie e non aveva nessuno che si occupasse della casa, per quello era tutto così…
Mi disse anche che sperava di sentire quella chiave che si infilava nella serratura della porta, ma non era più possibile, perché lei non c’era più.
Notai a destra della poltrona dove stava seduto quella bombola grigia dell’ossigeno.
Se ne accorse: “Non la veda così, non la veda come se io non potessi più uscire da questa casa, come fosse una prigione. La veda come se non ci fosse più necessità di uscire per me e questo appartamento io potessi chiamarlo ‘Mondo’ senza considerarmi pazzo”. Annuii, ma si vedeva che non gli credevo.
Ricevo e volentieri pubblico un nuovo profondo intervento dello scrittore fiandro alcolizzato Fab Van Alt, anche perché sa dove abito e dispone di un cacciabombardiere. “Quando ero giovane ero tristissimo e iniziai a scrivere poesie. Le facevo leggere ai miei amici e loro fingevano di essere morti per non vedermi più. Alcuni cambiavano nome e un paio arrivarono ad organizzare falsi funerali pur di evitarmi. Ma io non me la presi e continuai e feci leggere le poesie ai miei parenti che purtroppo mi disconobbero e mi fecero causa costringendomi a cambiare cognome. La tristezza aumentò ma per fortuna divenni un alcolizzato. Il termine Emo che ora va tanto di moda l’ho inventato io e anche il look, come si vede dalla mia foto di gioventù. Ora devo lasciarvi, torno a scrivere il mio nuovo romanzo di cui vi anticipo il titolo: “La deprimenza”.
Il Blog Critica letteraria si autodefinisce “Un altro blog per risollevarci dal menefreghismo letterario” e già solo per questo mi piaceva. Ma ora che ha pubblicato quest’intervista al vostro scrittore di romanzi preferito, ne sono diventato fan accanito. Ci terrei che la leggeste.
Ciao Fabrizio, benvenuto qui nel nostro “Salotto”. È un piacere avere la tua simpatia spontanea e la tua arguzia a insaporire le risposte. Per chi non avesse letto la nostra recensione a Rossana, il sogno e il ragno Calatrava, ecco il link: clicca qui.
Vediamo dalla tua biografia che sei in primis un ingegnere. Quando è nata la tua passione per la scrittura? È stata una scoperta improvvisa o conviveva già con i numeri?
Conviveva. Ho iniziato a scrivere verso i diciassette anni. Erano poesie. Lo feci perché un giorno mio padre, che era ingegnere, ma di quelli seri, mi svelò un segreto terribile: non solo scriveva di nascosto poesie, ma poiché si vergognava ne aveva mandate alcune a un concorso a mio nome! Mi toccò andare a prendere una medaglia che vinse con i suoi poemi e allora cominciai a scriverne anch’io, così avrei partecipato a mio nome. Poi un giorno mi svelò che aveva scritto un racconto… Il giorno dopo scrissi il mio primo racconto e da allora vidi che mi dava più gusto scrivere in prosa, e continuai.
Cosa si prova a essere insegnante e scrittore? Pensi che possa essere una fonte di ispirazione?
Sì. Nel mio ultimo romanzo ‘Rossana, il sogno e il ragno Calatrava’ la scuola compare sia come sfondo alla storia che come fucina di personaggi che quasi sempre sono ispirati a persone che ho conosciuto nella realtà, colleghi, ma soprattutto ragazzi.
Cosa pensano dei tuoi libri i tuoi ragazzi? C’è stato qualche commento memorabile?
Ne ricordo uno di una ragazza: “A me piace più Moccia”. L’ho bocciata. Da allora i miei ragazzi ne pensano tutto il bene possibile.
Il libro spassoso che abbiamo recensito molto volentieri è stato preceduto da altre prove: come le consideri? Affetto, superamento? Dicci tutto.
Il primo romanzo ‘Il caso Cicciapetarda” lo scrissi nel 1999 ma fu pubblicato solo nel 2006 grazie al mio editore la Società Editrice Fiorentina, che ci credette da subito. Fa ridere, ma veramente tanto, ed è più spensierato dell’ultimo che ho scritto vari anni dopo. Non lo rinnego, ma non scrivo più così. Si cambia e si cresce in tutto, anche nello scrivere. Tra i due c’è la raccolta di racconti ‘Maremma Safari e altri sogni’ del 2007. È particolare perché c’è il primo racconto che ho scritto, da cui trae il titolo, e anche uno degli ultimi. Tra i due corrono più di vent’anni.
Rossana, il sogno e il ragno Calatrava ha tra i personaggi principali un supplente-aspirante scrittore, Maurizio, ironico e genuino, ancora idealista. Basta parlare con te dieci minuti per rischiare di confonderti con Maurizio: in cosa ti ritrovi? Sappiamo bene che è difficile e non molto politically correct svelare un po’ di elementi autobiografici, ma ti torturiamo un po’…
Son qui apposta! Maurizio mi somiglia molto per carattere ed esperienze di vita, anche se nel romanzo non è ingegnere e, come primo incarico, insegna una materia indefinibile che neanche lui ha mai sentito nominare. Però alcune differenze ci sono: è più coraggioso di me e molto più ingenuo. Vorrei essere come lui e lo invidio un po’, per questo nel romanzo gliene faccio passare di tutti i colori.
Ormai sei un habitué di fiere letterarie, mostre di piccoli editori, presentazioni e chiacchiere in pubblico. C’è ancora l’emozione? In questi anni è successo qualcosa di divertente?
L’emozione c’è sempre, è la paura che è nettamente diminuita. Dopo tanti incontri e presentazioni so che posso controllare la situazione e che nessuno mi lancerà ortaggi o improperi. All’inizio invece, quattro anni fa, ero un concentrato di fifa. Ne sono successe molte e alcune le ho inserite nel romanzo. Una delle più belle fu alla fiera di Roma dove una signora volle che le facessi una dedica su un libro… del Leopardi! Mi firmai Fabrizio Giacomo Altieri perché Giacomo è il mio secondo nome per davvero e lei se ne andò tutta contenta. Il mio libro però non lo comprò.
Sei recentemente stato segnalato al53° Premio Nazionale Letterario Pisa: che cosa hai provato?
È la prima volta che ricevo un riconoscimento ad un Premio letterario, da quel giorno che partecipai con le poesie di mio padre, intendo. Ho provato gioia per tutto il lavoro che io e il mio editore abbiamo fatto in questi anni. Senza ipocrisia, quando l’abbiamo saputo ci siamo detti: “Ce lo meritiamo!”.
Abbiamo letto della tua recentissima pubblicazione (sempre per la Società Editrice Fiorentina) di Melerè, la musica bambina: di cosa si tratta?
Si tratta del primo Libro-audio-gioco mai realizzato. È composto da un libro con una favola per bambini dai quattro anni in su, scritta da me e illustrata da Alessandra Vitelli, un cd con la mia voce che legge la favola e una musica scritta per l’occasione da Marco Simoni e un gioco da tavolo realizzato da CreativaMente, un’azienda specializzata in giochi educativi per ragazzi, ispirato ai personaggi della fiaba ed alle avventure che essi vivono. Il tutto racchiuso in una scatola. Ne sono molto fiero perché è stato un lavoro di squadra non facile da organizzare e il risultato è molto riuscito.
Grazie mille per la tua disponibilità e speriamo di rivederci presto e di poter parlare ancora dei tuoi libri!
Nelle ore libere a scuola, in aula tecnigrafi io e un computer del ’96 scriviamo romanzi e favole. I tecnigrafi mi guardano, qualcuno è più inclinato qualcun altro meno; quelli più inclinati sono più attenti degli altri. L’aula è enorme il computer ronza lentissimo come un diesel del ’60.
Piacerà ‘sta roba?
Qualcuno, a leggerla, penserà che sono la persona peggiore del mondo qualcuno penserà che sono una persona eccezionale, qualcuno addirittura penserà che sono tutte e due le cose contemporaneamente.
Ma non pensiate che parli di voi o perlomeno che ne parli apposta. Io parlo sempre di me e ogni personaggio, nel bene e nel male sono io. Per cui se vi riconoscete in qualche situazione o stato d’animo, sappiate che è solo perché quello che ho vissuto io l’avete vissuto anche voi e quello che provo io l’avete provato anche voi.
Per questo so che saranno un bel romanzo e una bella favola.
L’8 dicembre di ventinove anni fa morì John Lennon.
Non ricordo cosa ho fatto ieri, e i nomi e i volti di chi incontro, tanto che ogni volta mi presento e l’altro mi guarda stupito e di solito dice: “Fabrizio, sono XY, ci siamo conosciuti l’anno scorso a…”
Ricordo perfettamente dov’ero e cosa facevo 29 anni fa. Ero a scuola, terzo anno di liceo classico e le cose andavano malino. Andavo male a filosofia, materia nuova che non mi piaceva. Quel matto aveva sparato a John Lennon la notte prima. Ero con la mia amica Teresa e ci dicemmo che eravamo tristi, affacciandoci alla finestra della nostra classe, anche se non ricordo le parole precise. Il tempo era come noi, grigio e piovoso.
Poi arrivò la professoressa e tutto ricominciò come sempre.
Pensai che ero grato a Lennon perché aveva cantato una cosa che nessuno ci aveva mai detto, professori, genitori, maestri di vario tipo: “We all shine on, like the Moon and the Stars and the Sun” Tutti splendiamo come la luna le stelle e il sole.
Pensai che era vero guardando i miei compagni di classe, allora brutti anatroccoli come me, e lo penso ancora guardando i miei ragazzi ora che sto dalla parte di là della cattedra.
Sto leggendo Blade Runner per lavoro. Mi hanno affidato 3 ragazzi che “non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica” e io gli faccio un’ora alla settimana al posto del collega di religione, appunto. Amo Philip k. Dick perciò ho scelto quel romanzo. La lettura va un po’ a rilento perché non è un libro semplice sia dal punto di vista linguistico che dei contenuti. Spesso fermo la lettura e spiego, così anch’io capisco meglio.
Per ora ho detto solo ai ragazzi che parla di alcune persone che sono considerate cose (lavori in pelle) ma che se si feriscono sanguinano e se sono tristi piangono. E di come quello che dovrebbe essere il loro carnefice pian piano si converte di fronte all’evidenza che sono esseri umani come lui. Ma sono tutte cose di pura fantasia. Chi di noi considererebbe mai qualcun altro come un oggetto da usare e buttar via?!
… è nata l’amicizia con Emanuele e Clara, poi è venuto tutto il resto.
Sto parlando di Melerè, la musica bambina, la favola per bambini che ho scritto e appena pubblicato per la Società Editrice Fiorentina in collaborazione con CreativaMente.
In realtà la favola (e il libro illustrato che la contiene) è solo una parte di tutto il lavoro. Nel progetto sono state coinvolte tante persone e alla fine è uscita una scatola-gioco contenente un libro illustrato, un cd con l’autore (io) che legge la favola accompagnato dalla musica di Marco Simoni e un gioco da tavolo ispirato alla favola. Io, Marco Simoni, la bravissima illustratrice Alessandra Vitelli, Emanuele Pessi (autore del gioco), Clara Fadda e la grafica Roberta Biasci, i miei editori Massimo Ciani e Frank, tutti insieme abbiamo collaborato per realizzare Melerè. E alla fine è venuto un bel lavoro. Davvero.
Ma prima è nata l’amicizia tra noi, come di amicizia parla la favola di Melerè, la musica bambina.